Sono una donna che “serve” la propria famiglia a tavola. Ma che termine è “servire”? Non di certo una parola adatta a definire ciò che si fa per le persone che si amano. L’ho già detto: sono una mamma che lavora. E non lo nascondo: è difficile. Perché come raccontavo nel post precedente, “Alle volte…” la situazione sfugge dal nostro controllo. Troppe cose da fare, con la preoccupazione di non riuscire a farle. Ma ci sono cose altamente appaganti nell’essere madre. Passeggiare la mattina con le proprie figlie per accompagnarle a scuola. Vederle divertirsi mentre fanno sport. Sentirsi dire “mamma, questa cosa è buonissima”.
È vero, la condizione delle donne deve cambiare. Sul lavoro, per tutto ciò che concerne la sicurezza ed il diritto alla vita. Ma credetemi, non facciamo caso se in uno spot pubblicitario la mamma “serve” la famiglia a tavola, perché è una cosa naturale. Così come è normale in famiglia aiutarsi: lei apparecchia, lui sparecchia. Davvero, non facciamo caso a queste cose. Facciamo caso al fatto che nelle scuole pubbliche ci siano scioperi di frequente (che ci obbligano ad organizzarci di conseguenza col lavoro), o che si facciano due settimane di inserimento con orario 8-10. Facciamo caso alla mancanza di servizi (come gli asili nido), facciamo caso al fatto che il part-time sia ormai un miraggio utopico.
Quindi prima di cercare di “passare un messaggio”, bisogna immedesimarsi nei destinatari del messaggio stesso e capire quali possano essere le loro esigenze, le loro preoccupazioni. Credo che una pubblicità con una mamma che “serve” la propria famiglia non rientri tra queste ultime. Viva la famiglia!
non potrei essere più che daccordo con te…