In questi giorni mi sto facendo una cultura in materia di YouTuber. Mi ci ha portato la mia bambina più grande che, autonomamente o su indicazione dei compagni di classe, ha già individuato i maghi dei video virali. Ovviamente, neanche a dirlo, la cronologia, su YouTube e non, è sempre sotto controllo, così come è circoscritto il tempo di navigazione. E solitamente guardiamo questo materiale insieme.
Ieri sera, dopo alcuni giorni passati a vedere video (devo dire divertenti) di una ragazza che commenta con ironia i vari aspetti della vita quotidiana di adolescenti e ragazzini mi sono sentita dire: “Pensa mamma, x fa più di 100mila visualizzazioni al giorno”. “Visualizzazioni?!? Oh mamma!”, ho pensato tra me e me. E così, siamo andate a visitare insieme il canale di questo tizio X. Mi ha fatto venire l’angoscia. Si tratta di un ragazzetto che testa videogiochi su YouTube e in due settimane riesce a raggiungere oltre 1 milione di visualizzazioni. Un talento dei videogames e del Tubo, lo ammetto. Ma oltre a questo a me è saltato all’occhio che era stressato. Sì, e alla grande. La frequenza della parolaccia in una frase era almeno al 60%. Il tono della voce di almeno un’ottava e mezzo sopra la media e oltre i decibel consentiti dalla legge. La gestualità a scatti. E automaticamente ho pensato: ma questo ragazzino, per essere così bravo, avere tutti questi iscritti al canale e questi milioni di visualizzazioni, ce l’avrà una vita vera? È vero anche che ci sono dei fuoriclasse e delle persone votate a determinate attività, che in poche parole, nella vita devono fare quello, perché sono naturalmente predisposte. Ma c’è anche il mare intorno. Persone che seguono la scia e che, sulla base di questi modelli, provano a diventare fenomeni social.
Non mi riferisco solo a YouTube e neanche solo a bambini e adolescenti: qualsiasi canale sociale è colpito dalla malattia dei seguaci. Su Instagram trovate quelli che si preoccupano dei like sulla foto. Fanno le medie ogni settimana. Stanno attenti a chi followa e defollowa. Cercano applicazioni che lo facciano in automatico. Attenzione: non sto denigrando l’utilizzo dei Social Network e il fondamentale monitoraggio dei risultati che essi portano. Facebook e gli altri possono davvero essere utili alle nostre attività, sia nel Personal Branding che nella promozione e crescita della propria azienda. Ma purtroppo riscontro casi di narcisismo dilagante, che poco hanno a che fare con una promozione attenta e consapevole.
Il must è sempre uno: contenuti di qualità. Ogni giorno mi arriva una notifica di qualcuno che è in diretta su Facebook, magari con niente da dire. Così come su Instagram più che ai like e ai seguaci bisognerebbe pensare a postare belle foto e ad avere, perché no, un progetto ben definito. È chiaro che bisogna saper utilizzare hashtag, ma che senso ha fare un elenco infinito di queste parole se poi non sappiamo raccontare quella foto? E aggiungo: scattare foto deve essere anche e soprattutto un piacere.