La mattina del 25 dicembre alla mia porta ha suonato un ragazzo nigeriano che da anni passa quasi tutte le settimane. Gli do qualcosa per comprarsi un panino, dell’acqua in estate. E’ passato a fare gli auguri. La sua famiglia, sua moglie e la sua bambina che adesso avrà all’incirca 4 anni sono ancora in Africa. Lui, come lui stesso mi ha raccontato tempo fa, ha fatto tutti i documenti a Roma per farle venire in Italia “perché con Boko Haram è diventato impossibile vivere”. La mattina di Natale gli ho chiesto a che punto fossero le pratiche e mi ha risposto che “a Roma perdono tempo”. E non ho potuto non pensare a come si possa convivere con quella angoscia. Con la paura che la propria famiglia possa essere sterminata, ogni giorno. E automaticamente ho anche ripensato ad una triste verità: esistono esseri umani di serie A ed esseri umani di serie B. Le stragi di Boko Haram passano tutti i giorni tra le news dei tg, le leggiamo sui giornali. Ma paradossalmente non sentiamo, non vediamo.
L’Isis ci spaventa. Boko Haram non ci riguarda. Eppure, stando ai dati del rapporto dell’Institute for Economics and Peace, in un anno, il 2014, Boko Haram ha ucciso oltre 6.600 persone, tra Nigeria, Camerun e Ciad. In Nigeria, sempre secondo lo stesso rapporto, il numero dei morti per attentati è aumentato del 300% e secondo l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel Paese si contano ad oggi 2 milioni di sfollati.
Sono stati 107 gli attentati nel 2014. Il che vuol dire che mediamente viene messo a segno un attentato ogni tre giorni e mezzo, più o meno. Neanche a dirlo, le vittime sono quasi sempre civili intenti ad andare a fare la spesa o ad andare alla messa. Ancora più triste il fatto che come bombe vengano utilizzate sempre più spesso bambine kamikaze.
L’Unicef riferisce, ed è notizia di pochi giorni fa, che 2.000 scuole sono state chiuse. Il risultato è che 1 milione di bambini in questi Paesi non va più a scuola, perché gli edifici sono stati distrutti, saccheggiati, oppure semplicemente perché i genitori hanno paura per i propri figli.