Il mondo dei libero professionisti a partita Iva è un mondo che definirei “non tranquillo”. Non si ha la certezza del lavoro, dei pagamenti, della continuità. Per dirla in altre parole: non abbiamo la busta paga alla fine del mese… e chi lo sa se la fattura ce la salderanno o se continueranno a richiedere la nostra professionalità in futuro. L’unico punto fermo è rappresentato delle tasse, compresive di anticipi per l’anno successivo.
Ma ci sono anche dei vantaggi, almeno per chi, come me, si occupa di comunicazione. Possiamo gestire il nostro lavoro, che può anche richiedere 12 ore al giorno, ma saremo comunque liberi di stabilire come e quando, in vista ovviamente delle scadenze. Siamo liberi, pur concordandoci con il cliente, di dare un’impostazione al nostro lavoro. Abbiamo la possibilità di formarci e aggiornarci sempre, in qualsiasi momento.
C’è però una tendenza, che dal 2016 si sta cercando di controllare in base a quanto sancito dalla Riforma Fornero e dal Jobs Act. Ciò a cui faccio riferimento è la monocommittenza. Spesso il passaggio dalla ritenuta d’acconto (e ai 5mila euro lordi annuali) all’apertura della partita Iva (spesso per chi può usufruire del regime dei Minimi) è figlio di una monocommittenza: un solo cliente che usufruisce dei nostri servizi e che ci tratta come un dipendente. Il gioco vale la candela? Che dire… ognuno dovrà fare le sue valutazioni. Certo è che se quell’unico cliente garantisce un’entrata a fine mese, dire di no potrebbe risultare difficile. È una scelta per la quale si può optare, ma dalla quale non bisogna farsi assorbire.
Come?
Il primo consiglio è quello di non far capire al cliente che è l’unico “sostenitore” dell’attività. Certo, dovete sondare il terreno, grazie anche ai contratti che stabiliranno durata, compenso e modalità di pagamento. Questo perché altrimenti quel cliente tenderà a trattarvi come un dipendente ed ecco quindi che oltre a dovervi accollare i rischi di una professione a partita Iva assisterete anche alla perdita di tutti quei vantaggi di cui parlavamo prima: gestione del tempo e quindi di eventuali ore da dedicare a formazione e aggiornamenti professionali; possibilità di dimostrare la propria professionalità impostando il lavoro (non sempre, ma se qualcuno vi considera alle sue dipendenze avrà la tendenza ad ascoltare sempre meno i vostri suggerimenti). Ma ancora più importante è il fatto che se vi comportate da dipendenti non avrete la possibilità di acquisire nuovi clienti.
Da qui il secondo suggerimento – o forse la conclusione di questo post – da attuare forse col tempo: abbiate il coraggio di dire no alla monocommittenza. Un periodo di rodaggio alla ricerca della stabilità è più che lecito, ma non fatevi inglobare da questo meccanismo. Le legge ci dice che la collaborazione con lo stesso committente non deve superare gli 8 mesi per 2 anni consecutivi. È un limite che vi dovete dare e che potete citare anche per far presente al “datore di lavoro” che la normativa in materia non vi consente di fare i dipendenti a partita Iva.
Per il resto… il mondo del lavoro è una giungla. Le certezze, per chi non ha la possibilità di un’assunzione, sono davvero poche. Ma questo non deve limitarci. Con questo non voglio dire che dobbiamo “buttarci”, ma anche pensare che qualche rischio va preventivato. L’alternativa, neanche lo vorrei scrivere, sarebbe il nulla o addirittura il lavoro in nero. Ma sono opzioni che neanche vanno prese in considerazione.
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